Dietro allo spreco alimentare c'è di più

Pubblicato da Redazione

il 26/09/2024

Nell’anno delle Olimpiadi, anche la Terra sembra aver vinto un record: il mese di agosto più caldo di sempre. La ovvia evoluzione di una serie di record negativi che sta segnando il nostro clima.

Ma l’impatto degli eventi climatici estremi non è neutro. Gli effetti sull’economia e sull’agricoltura sono pesantissimi. Lo dimostrano calamità naturali come l’alluvione che per tre volte di seguito si è abbattuta sull’Emilia – Romagna. Lo dimostrano i dati: secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, dal 1980 al 2017, l’Italia ha dovuto sostenere 65 miliardi di danni per far fronte agli effetti dei cambiamenti climatici.

Parallelamente, l’attuale sistema di produzione del cibo, basato sul modello dell’agroindustria, contribuisce al 23 per cento del totale delle emissioni di CO2. Preso nel suo insieme, l’intero sistema alimentare vale il 37 per cento delle emissioni di CO2.

Lo spreco alimentare contribuisce in modo rilevante al cambiamento climatico: vale l’8 per cento delle emissioni di CO2 a livello globale. Nel corso degli anni, la lotta allo spreco è stata condotta individuando un solo responsabile: il/la cittadino-a. Eppure c’è un modello produttivo incessante, che ogni giorno porta sulle nostre tavole anche più del necessario, perché quello che vediamo in vendita rappresenta in realtà più di quello di cui noi stessi abbiamo bisogno per vivere. Non solo.

Lo spreco c’è anche e soprattutto dove non si vede. In campagna perlopiù, dove più che di spreco si parla infatti di perdite alimentari. Con il report Siamo alla frutta, abbiamo dimostrato che la frutta “fuori canone”, che cioè non rispetta un certo calibro, una certa colorazione e altri canoni di bellezza puramente estetici, non arriva sugli scaffali dei supermercati dove facciamo la spesa. Questa frutta ha due strade davanti a sé: essere svenduta alle industrie di trasformazione per diventare succo di frutta o confettura oppure restare sul campo e diventare perdita. In Italia, si sprecano 5.2 milioni di tonnellate di cibo.

Il 23 per cento viene perso proprio a livello della produzione primaria, il resto a livello dell’industria di trasformazione e della distribuzione.

Questo è uno dei tantissimi problemi che sta affliggendo migliaia di aziende agricole nel nostro paese e in tutta Europa.

L’Unione Europea in 15 anni (tra il 2005 e il 2020) ha perso 5.3 milioni di aziende, passando da 14.4 milioni a 9.1 milioni. Nello stesso intervallo di tempo, l’Italia ne ha perse circa 1 milione. Questo trend negativo ovviamente vuol dire perdita di biodiversità, vuol dire avanzamento del modello agroindustriale, vuol dire abbandono dei terreni. E vuol dire anche perdere la speranza.

Ecco perché, in questa comunità virtuale, vogliamo dare spazio a quelle aziende, a quei prodotti e a quei volti che nessuno conosce. Perché non finiscono sulle prime pagine dei giornali, perché di solito sono sui campi a lavorare, a custodire il nostro ambiente.


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